La nuova ricetta dello chef Rosato che unisce tradizione italiana e sperimentazione
Nel vasto panorama dei prodotti tipici italiani inseriti nelle varie categorie (DOP, IGP, BIO, etc.) che regolano le svariate produzioni nazionali e regionali, esistono alcune specialità enogastronomiche il cui solo nome evoca istantaneamente il riferimento geografico di appartenenza. Tra queste, una delle più rinomate è senz’altro la sfogliatella che, grazie al suo legame indissolubile con la Campania, è entrata ormai a pieno titolo nella grammatica dei sapori del Belpaese. Considerata come uno dei dolci più buoni e golosi della pasticceria napoletana, la sfogliatella (quella riccia, realizzata con pasta sfoglia) ha origini antichissime che risalgono addirittura alla metà del ‘600. Le cronache narrano che alcune suore di clausura del convento di Santa Rosa, sulla Costiera Amalfitana, crearono un nuovo dolce (Santarosa) riciclando casualmente alcuni ingredienti avanzati in cucina: semola, latte, ricotta, frutta secca e un po’ di liquore a base di limone (antesignano del moderno Limoncello) per il ripieno, successivamente avvolti in una sfoglia di impasto diluita con vino bianco e strutto, e la ricetta era praticamente pronta.
Alcuni secoli dopo, agli inizi dell’800, un pasticciere napoletano (Pasquale Pintauro) rivisitò la ricetta e la portò finalmente a Napoli riscuotendo subito ampi consensi; modificando alcuni ingredienti del ripieno e la sfoglia (assottigliata e sagomata in forma triangolare), diede origine alla classica “conchiglia” apprezzata oggi in tutto il mondo. Nel corso degli anni successivi, fino ai nostri giorni, la sfogliatella tradizionale ha visto numerose varianti sia per quanto riguarda il ripieno (crema pasticcera, cioccolato, crema al pistacchio, etc.) sia nelle dimensioni: dalla versione gigante dalla forma più allungata (code di aragosta) e con quella mignon rappresentata dalle aragostine. Ottime idee, ma perché non tentare un’ulteriore metamorfosi per trasformare questo prodotto in un secondo piatto salato da inserire in un menu gourmet? In questo caso il punto di partenza per ottenere un buon risultato è senz’altro l’aragostina che, proprio grazie alle sue ridotte dimensioni, consente di inserire il piatto in un menu degustazione di svariate portate, o trasformarla in un amuse bouche di un pranzo importante, o ancora in un antipasto caldo di spessore. La soluzione migliore per riprodurre facilmente (e in tempi brevi) la ricetta è quella di rivolgersi al proprio pasticcere di fiducia e farsi preparare delle aragostine senza ripieno, appena sfornate e non ancora farcite con i vari ingredienti. Per un risultato ottimale possiamo suggerire l’aggiunta di un pizzico di sale alla sfoglia per attenuare lo zucchero, che tuttavia è meglio non eliminare del tutto. Per il ripieno abbiamo scelto la lonza di maiale, nota anche come lombo o lombata, un taglio di carne (privo di ossa) particolarmente gustoso grazie alla ridotta quantità di grasso che, senza alterarne il sapore, la rende più morbida rispetto ad altre parti suine.
Come salsa sulla quale adagiare l’aragostina salata, ideale per bilanciare la sua croccantezza e creare allo stesso tempo un efficace contrasto cromatico, si può abbinare uno strato di mayocadoTM, una maionese a base di polpa di avocado, e alcune schegge di aglio nero fermentato. Questo particolare tipo di aglio, originario della Corea, si ottiene facendo fermentare i normali bulbi di aglio a circa 60° per 30 giorni, sottoponendoli successivamente ad una essiccazione molto lunga (40/45 giorno); al termine di questi processi l’aglio muta la sua colorazione fino a diventare completamente nero, perdendo inoltre gran parte del contenuto di allicina (responsabile del suo caratteristico odore) ed assume un sapore più delicato abbinato ad un inconfondibile retrogusto di liquirizia.