Un piatto che mette insieme un frutto di stagione e la cucina piemontese
Uno dei principali protagonisti presenti in estate sui banchi di frutta e negli scaffali della grande distribuzione è senz’altro il fico d’India (noto anche con l’antica denominazione di ficodindia), i cui primi frutti arrivano sul mercato verso la fine di luglio per raggiungere il periodo della massima maturazione a settembre; in seguito la produzione si riduce progressivamente e continua (in base alle varietà e alle condizioni climatiche delle diverse aree di produzione) fino alla fine di ottobre, o al massimo agli inizi di novembre. Il periodo di raccolta condiziona inoltre anche la forma dei frutti, la cui polpa può contenere svariate centinaia di semi; quelli della produzione iniziali sono più tondeggianti e simmetrici, mentre i frutti tardivi hanno una forma più allungata e una colorazione più marcata.
Originari delle regioni centrali del Messico (sono presenti anche nello stemma della bandiera del Paese), erano molto diffusi presso gli Aztechi (nella cui lingua erano noti come “nopali”) che li consideravano una pianta sacra, ricca di valori simbolici. Ed è proprio dalle coste dell’isola di Hispaniola che i primi esploratori europei arrivati nel Nuovo Mondo con la prima spedizione di Cristoforo Colombo scoprirono per la prima volta la pianta introducendola in Europa l’anno successivo (1493) al rientro della spedizione a Lisbona. Grazie al viaggio di Colombo inoltre questa pianta assunse la denominazione con la quale è ormai nota in tutto il mondo poiché, com’è noto, il navigatore genovese era convinto di essere approdato sulle coste dell’India quando sbarcò per la prima volta nell’isola Hispaniola. Sulle tavole della corte spagnola i frutti arrivati dal Nuovo Mondo riscossero subito un grosso successo, e ben presto tra le cucine nobiliari i nopali vennero ribattezzati fichi d’India. Introdotta in Spagna, si diffuse rapidamente nell’intero bacino mediterraneo grazie alle condizioni ottimali del clima che hanno consentito una profonda naturalizzazione dei fichi d’India che in alcune aree, come Malta, Sicilia (in provincia di Catania c’è persino una varietà insignita del marchio DOP) e Sardegna (dove si trova l’unica specie priva di semi), sono diventati un elemento peculiare del paesaggio naturale. Grazie alla sua capacità di crescere anche in zone particolarmente aride, ha evidenziato inoltre enormi potenzialità per lo sviluppo dell’agricoltura in zone quasi prive acqua, mentre l’elevato contenuto di vitamina C, calcio e fosforo assicura all’organismo un’adeguata scorta di vitamine e sali minerali.
Oltre ad un ampio ventaglio di possibilità per quanto riguarda l’assortimento delle ricette realizzabili, nonostante nell’ambito della tradizionale cucina mainstream i fichi d’India siano considerati un po’ difficili da maneggiare a causa della scorza dura che ricopre la polpa dei frutti e, soprattutto, per la presenza delle spine. Non tutti sanno, anche le pale (i fusti modificati della pianta, dall’inconfondibile forma appiattita e ovale, noti anche come “cladoli”) sono edibili dopo che sono state spinate con estrema attenzione e sono utilizzate in svariate ricette. Le bucce offrono inoltre ulteriori spunti creativi utilizzando alcune tecniche di cottura, come quella in forno, l’oliocottura o la frittura, che trasformano l’esocarpo dei fichi d’India (strato esterno della parete del frutto) in un croccante contenitore all’interno del quale si possono inserire diversi tipi di farciture, sia cotte che crude. Queste, in sintesi, le linee guida che hanno ispirato la realizzazione della nostra ricetta, dove i fichi d’India si trasformano in un magico scrigno destinato ad accogliere uno dei piatti tipici più apprezzati della cucina piemontese, la tartàre di Fassona, proposta in una inedita versione aromatizzata alle erbe di Provenza. Una miscela di erbe aromatiche essiccate la cui composizione originale comprende rosmarino, basilico, finocchio, salvia, maggiorana, menta, origano e santoreggia, mescolate con fiore di sale della Camargue; originaria del sud della Francia, è oggi presente in tutta la cucina mediterranea e costituisce uno dei più diffusi insaporitori naturali.