Abbiamo incontrato il CEO di Antony Morato che ci ha raccontato la storia, il successo e i progetti del brand
Dall’esigenza di un ragazzo di 26 anni che ama la moda non gridata è nato Antony Morato. Il brand di moda uomo, made in Italy, che ha saputo unire con intelligente maestria – condita da un pizzico di “follia ragionata” – il bisogno concreto di un prodotto di fascia media di stampo sartoriale, ad una visione lungimirante e vincente. Abbiamo avuto il piacere di incontrare Raffaele Caldarelli, per tutti Lello, CEO di Antony Morato che ci ha raccontato l’anima del brand, dal successo globale.
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Antony Morato storia di una follia ragionata
Chi era Raffaele Caldarelli prima di diventare il CEO di Antony Morato?
Sono cresciuto in provincia, in un contesto chiuso, ma grazie alla mia curiosità ho iniziato a girare e mi si aperto, davanti agli occhi, lo spettacolo di numerosi mondi. Se vogliamo legare questo concetto al mondo del business, sono nato in una famiglia in cui si masticava moda già da due generazioni, quindi il percorso è stato abbastanza segnato fin dall’inizio. Ovviamente poi con la maturità ho portato una visione diversa di business: ho fatto per tanti anni produzione per altri nel settore moda, ma ad un certo punto mi è venuta la voglia di costruire un progetto mio. E è nato Antony Morato.
Qual era l’esigenza che ti ha spinto ad avviare questo progetto?
Il brand ha avuto origine con un concetto semplicissimo: cercare di portare sul mercato quello che un cliente come me – all’epoca ero un ragazzo di 26 anni – desiderava, ma non riusciva a trovare. Da qui è nata l’idea di dare concretezza alla visione di portare un prodotto di lusso al segmento medio. Quindi, alla fine, più che un prodotto abbiamo creato il posizionamento di un prodotto nuovo, che nel segmento medio non c’era. L’idea è risultata vincente sin da subito, al quale è seguita un’escalation che ci ha condotto oggi ad essere un brand distribuito in più di 60 paesi, con 4 milioni di pezzi venduti all’anno e nel nostro diciassettesimo anno di vita, ad un fatturato di 76 milioni.
Il brand porta un nome e un cognome che non sono i tuoi, perché?
Quando nel 2007 avevo deciso di avviare il mio progetto, avevo notato che tutto il mondo del lusso – a cui mi ispiravo per il mio prodotto- era composto da designer, mentre il mondo del casual del settore medio – a cui guardavo con stanchezza – era costellato di marchi. Infatti il concetto del designer che interpretava con la sua visione l’ultima moda del momento, non esisteva nel segmento medio di mercato. Allora ho capito che, per portare il concetto di designer nella media distribuzione, non potevo fare l’ennesimo marchio quindi mi serviva un nome e un cognome. Io mi chiamo Raffaele Cardarelli, un nome cacofonico, poco internazionale, troppo lungo, quindi ho deciso di sfruttare un approccio molto semplice: ho cercato nella Bibbia dei nomi e cognomi, l’elenco telefonico. All’epoca c’era un mio amico che stava facendo una consulenza in New Jersey e gli ho chiesto di portarmi un phone book direttamente dall’America. Sfogliandolo ho trovato una pizzeria che si chiamava “Morato by Antony”, senza l’acca. Un nome e un cognome, sei lettere e sei lettere, con un’ispirazione cosmopolita – visto che erano gli anni della globalizzazione -, era perfetto. Uno dei miei rimpianti più grandi è di aver perso quell’elenco telefonico.
Osaka, Malibù, Seattle. Le collezioni Antony Morato vanno alla scoperta del mondo. Come nasce la volontà di ispirarsi alle città? Come una città diventa poi estetica?
C’è una componente che mi accompagna da sempre: la passione per i viaggi. Sono una persona curiosa e il viaggio è l’ispirazione alla base di qualsiasi cosa che riguardi la mia vita. Culture diverse, posti diversi, cibi diversi. Questa mia attitudine si riflette anche sulle collezioni di Antony Morato: infatti ogni nostra collezione prende ispirazione sempre da un viaggio in città particolari, da cui prendiamo spunto per disegnare i capi, per fare lo styling dei prodotti, calando il nostro cliente in quello specifico ambiente urbano. Una collezione ha sempre bisogno di alcuni stimoli di base che ti permettano di innovare un prodotto che però, nel caso della moda uomo, ha delle basi e canoni rigidi – e come tali non possono essere stravolti. Perché in fin dei conti il guardaroba maschile è molto conservativo e tradizionale, quindi risulta complesso essere, allo stesso tempo, conservatore ed innovatore. Quindi la cultura di una città, la sua architettura, la storia e lo sviluppo artistico ispirano i pattern e i disegni da usare per camice o t-shirt, colori – ad ogni città associ sempre dei colori particolari – oppure la tipologia di styling che i giovani usano in quella specifica città. Pensiamo a Parigi, la città che ha ispirato la capsule collection Autunno-Inverno 2024, dove il nostro prodotto diventa sartoriale, asciutto, longilineo, vicino al mondo formal; perché quella è un po’ l’attitude del parigino medio. Oppure la collezione ispirata a Manchester, in cui lo stile ha un’ispirazione più urban, comfy, informale, pronta a qualsiasi esigenza. Proprio perché il cittadino di Manchester ha un approccio alla moda molto diverso da quello che potrebbe avere un parigino. In sostanza, prendiamo le vibes che le città ci danno per trasformarli in stampe, colori, styling che costituiscono le nostre capsule.
Chi è l’uomo che veste Antony Morato? E qual è l’elemento che rimane costante nelle vostre collezioni?
Quando ho fondato Antony Morato avevo ben chiare le mie esigenze di ragazzo di 26 anni che amava vestirsi bene, ma non con look non troppo audaci o urlati. Sono sempre del parere che nella moda sia tutta una questione di equilibrio: se arrivi in un posto e vieni notato subito per il tuo look, potenzialmente, sei uno che dopo pochi minuti stanca; se invece sei uno che quando entra in un luogo non viene notato subito, ma quando va via viene ricordato, vuol dire che era impeccabile. Ed è l’obiettivo che ci diamo noi per costruire il look dell’uomo Antony Morato. Inoltre all’epoca ero abbastanza stanco del casual, di questo abbigliamento di stampo fin troppo quotidiano e informale, e per trovare un capo più ricercato con quel tocco di sartorialità dovevi per forza rivolgerti al mondo del lusso – con prezzi inaccessibili. L’idea di base è stata quella di creare un prodotto di lusso, a prezzi accessibili, adatto a una distribuzione di fascia media. Dunque un’esigenza personale affiancata ad una visione di marketing molto semplice.
Considerando che la componente innovativa scorre nel DNA delle collezioni Antony Morato, come entra il concetto di genderless nel brand? Pensi che oggi sia necessario inglobare questa estetica?
Antony Morato non ha mai approcciato in modo ufficiale ad un prodotto genderless. Siamo un marchio specializzato nell’uomo, ma abbiamo anche una parte del mondo femminile che si affaccia sempre più al nostro prodotto. Se da un lato tendo a ricercare nella moda la componente innovativa, dall’altra sono molto conservativo e, in quanto tale, ritengo che la moda da uomo e da donna siano due mondi separati, due settori con esigenze diverse. Il genderless, dunque, mi sembra quasi una forzatura: come se si dovesse creare per forza una mediazione che vada bene ad entrambe le parti; mi ricorda un po’ la filosofia della Democrazia Cristiana. Rispetto chi porta avanti questa estetica, ma io credo poco al concetto di moda gendeless. Diciamo che chi usa il concetto di genderless, lo associa spesso a quello di inclusività, ma secondo me una cosa non esclude l’altra. Noi siamo un brand inclusivo, raccolto sotto al claim Unity, che vuole sottolineare l’importanza di essere se stessi indipendentemente dal sesso, anche se non facciamo capi gender fluid. La fisicità maschile e quella femminile hanno volumi diversi, trovare qualcosa che vada bene ad entrambi è un’evidente forzatura. Penso che i nostri clienti ci scelgano perché i capi vestono in un certo modo e ciò è frutto dell’analisi della fisicità maschile al dettaglio.
Antony Morato, con i numerosi progetti e collaborazioni, si lega imprescindibilmente alla contemporaneità. Ha vestito anche i protagonisti della fiction Mare Fuori. Che cosa rappresentano per te queste contaminazioni?
La nostra poliedricità rappresenta l’apertura mentale del brand, che rispecchia l’attitude del team. Oggi un brand è interessante se ha una visione molto ampia, la quale riesce a toccare con coerenza diversi argomenti Nella contemporaneità allargare le vedute, andando oltre il semplice orizzonte della moda, può aiutare un brand a costruire un rapporto con il consumatore più vero – e ovviamente potenzialmente più lungo.