Stéphan Revol racconta i segreti della storica regione dell’Aube
Assemblage, remuage, degorgement. And repeat. Il processo di produzione dello champagne, noto anche come metodo classico, è apparentemente molto semplice e lineare, e si ripete immutato ormai da secoli. Rimane ammantata invece da un velo di leggenda l’origine di quelle uve pregiate che danno vita al liquido ambrato più famoso di Francia: Pinot Noir, Pinot Meunier e Chardonnay. Per ricostruire la loro storia bisogna tornare all’epoca delle crociate e in terre lontane, più precisamente a Gerusalemme. Si scopriranno vicissitudini fatte di viaggi, guerre e soprattutto grande abilità commerciale. È così che la regione della Champagne ha guadagnato la fama di cui gode oggi.
Stéphane Revol, amministratore delegato della Maison di Champagne Comte de Montaigne, ci accompagna in un viaggio alla riscoperta dell’autenticità attraverso la regione dell’Aube. La stessa che ospita i suoi vigneti e in cui è giunto dal lontano medio-oriente il primo ramoscello di Chardonnay, per mano del Comte du Champagne.
Ci racconta, dal suo punto di vista, la storia che lega lo Champagne alla regione dell’Aube?
La Champagne è una regione che si trova a sud est di Parigi e si divide in due grandi province: la Marne e l’Aube, con capoluogo Troyes. Qui troviamo sette tipologie di vitigni diversi, di cui tre famosi: lo Chardonnay, il Pinot Noir e Pinot Meunier; nessuno di questi vitigni però nasce in Champagne. Lo Chardonnay in particolare viene da Gerusalemme; fu il Comte du Champagne che nel XIII secolo, di ritorno dalle crociate, portò in Europa una ramoscello di Chardonnay, che venne piantato non nella Marne ma nell’Aube, ovvero nelle attuali terre di Comte de Montaigne.
Proprio per questo io parlo di autenticità della zona, perché è qui che è stata piantata la prima vigna di Chardonnay. Nella zona della Marne, l’altra provincia della Champagne, si trovavano quei commercianti che vendevano l’uva e il mosto. Alla fine del XIII secolo questi commercianti, in modo molto lungimirante, si accorsero che il Chardonnay aveva del potenziale e decisero quindi di scatenare una guerra con la regione dell’Aube, per ottenerne l’esclusiva. I produttori dell’Aube persero la guerra e vennero costretti a consegnare la propria uva e il mosto per sei secoli, con il veto di non poter produrre alcuna bottiglia di champagne. Questa situazione si perpetuò fino al 1903. È questo aspetto a rendere la regione dell’Aube autentica e, di conseguenza, lo champagne Comte de Montaigne uno dei più autentici sul mercato.
Si ricorda come è avvenuto il suo incontro con il vino e con lo champagne?
Mi ricordo, all’età di quattro o cinque anni, le vacanze estive trascorse in mezzo ai vitigni dell’Aube; là correvo senza sosta e mi sono procurato anche una caduta abbastanza grave. Da quel momento non ho mai mancato una vendemmia e ho sempre amato l’atmosfera che si respirava. La mia vocazione nasce però di fronte alla Chiesa di Santa Maddalena quando, a nove anni, mio padre mi raccontò la storia dell’origine del vitigno Chardonnay. Sono convinto che oggi quello che ci occorre sia la ricerca dell’autenticità, per questo la storia ha bisogno di essere riportata alla luce.
Il nome della vostra maison richiama quello del filosofo e umanista Michel de Montaigne, perché avete pensato proprio a lui?
C’è sempre stato, fin dal Medioevo, un legame tra il vino e la letteratura; un filo conduttore. Michel de Montaigne era uno scrittore in Francia molto rispettato e noi nutrivamo un grande stima nei suoi confronti. Quindi abbiamo scelto il suo nome proprio per mantenere vivo questo legame tra il vino e la letteratura. Non volevamo avere una maison che portasse il nostro cognome, Revol; quindi abbiamo deciso di seguire il percorso, per noi logico, che unisce letteratura e vino.
Lei consiglia di servire lo champagne in un calice dalla forma a tulipano. Che differenza c’è con la più famosa coppa?
La leggenda narra che la forma della coppa di champagne si ispiri a quella del seno e confesso che la coppa rimane uno dei miei bicchieri preferiti. Permette di ottenere l’esaltazione del perlage, perdendo però il profumo. Con il bicchiere a tulipano invece si riesce a esaltare il profumo al naso e a sviluppare insieme una bella bolla. Quindi a livello tecnico il secondo è più completo perché permette a entrambi gli elementi, la parte visiva e quella olfattiva, di essere presenti. Detto ciò la coppa rimane sicuramente più elegante e chic, almeno a livello estetico. Da suggerire quindi nel caso di una cena o un cocktail molto elegante, mentre il bicchiere a tulipano è preferibile in un’occasione più professionale in cui si assaggia e si parla di vino.
Qualche anno fa lei ha deciso di trasferirsi a Milano, perché questa scelta? Come è avvenuto l’ingresso di Comte de Montaigne nel mercato italiano e come è stato accolto?
Il mercato italiano ha una doppia importanza: innanzitutto stiamo parlando di uno dei Paesi top di gamma nella produzione di vino a livello mondiale; c’è una base molto importante di produttori. Francia, Italia e Spagna ad oggi sono i paesi che producono più vino. Inoltre, quello che adoro degli italiani è che amano e apprezzano il bello. Se a un consumatore italiano piace uno champagne, lo acquisterà senza badare al prezzo; cosa a cui invece stanno molto più attenti, ad esempio, in Spagna. Quindi per una Maison Premium come Comte de Montaigne è importantissimo essere nel mercato italiano: qui possiamo trovare un consumatore curioso e che accetta di pagare la qualità.
In Italia siamo agli inizi, in un mercato diviso tra moltissimi brand e che produce 7.5 – 8 milioni di bottiglie, con più di seicento marchi. L’Inghilterra, ad esempio, produce 80 milioni di bottiglie di champagne ma conta “soltanto” duecento brand. Questa marcata segmentazione rende più complicata l’accettazione di una novità, per cui c’è bisogno di tempo, risorse e della comunicazione giusta. La bella ristorazione, anche milanese, ci ha accolti molto bene. Io vivo tra Milano e Parigi; Milano è una città che adoro, perché la trovo dinamica, moderna e avanguardista a livello di design e di ristorazione. Credo sia il posto ideale in cui vivere per un giovane CEO a livello europeo.
Tornando in Francia, secondo lei un brand radicato nel territorio come il vostro come può contribuire a una sua valorizzazione dal punto di vista turistico ed enogastronomico?
Ovviamente qui si entra anche nell’aspetto politico, perché dobbiamo lavorare con la nostra regione e con la nostra provincia per poter avere dei percorsi che promuovano la zona dell’Aube dal punto di vista dello champagne con eventi mirati [si veda, ad esempio, la “Strada dello Champagne n.d.r]. È fondamentale poi sviluppare una ristorazione enogastronomica elevata con stellati michelin, che ancora mancano. La nostra zona è ricca di bellezze da visitare, dalle vetrate nella città di Troyes ai molti giardini, ma lo sviluppo deve vedere lo sforzo sinergico nostro, di altri colleghi e della provincia.
Qual è il segreto di uno Champagne Premium come il vostro?
C’è differenza tra fare lo champagne e fare il vino: fare il vino significa avere un pezzo di marmo e ridurlo per creare una statua; fare lo champagne invece vuol dire avere ottanta pezzi di marmo diversi e creare un mosaico. Noi lavoriamo con 40 ettari di vigne e circa ottanta parcelle diverse. Per fare il nostro Blanc de Blancs – uno dei migliori champagne sul mercato – , 100% chardonnay, utilizziamo ovviamente diverse parcelle di uva chardonnay, perché esse apportano una maggiore complessità al prodotto e lo stile preciso che noi vogliamo dargli.
Ogni Maison ha un proprio stile; il nostro considera lo champagne un momento di condivisione, in famiglia, con gli amici, al lavoro, insomma un momento di gioia. Per questo si basa su tre elementi fondamentali: la golosità, la complessità e l’eleganza. La prima è data dall’assemblage e dal fiore; nel caso del Blan de Blancs io scelgo delle parcelle che lo esaltino, con della mineralità (perché coltivate vicino al fiume). Per fare ciò io ho bisogno che il mio vino, fatta la vendemmia, raggiunga il suo apogeo. Bene, noi consideriamo tre mesi necessari perché questo champagne sviluppi tutte le sue caratteristiche, contro i quindici giorni delle altre maison. La seconda fase prevede l’imbottigliamento e quindi l’invecchiamento sui lieviti, che da noi dura 48 mesi; questo dà complessità al vino e gli permette di non essere neutro, quindi di esaltare al naso e in bocca il nostro territorio.
Il terzo e ultimo aspetto è l’eleganza, rappresentata da una bolla sottile e fine, ottenuta tramite un remuage molto lento. Una volta morti i lieviti contenuti nella bottiglia, è necessario rimuoverli concentrandoli nella zona del tappo. Questo processo prende appunto il nome di remuage: ovvero la bottiglia da sdraiata viene posta verticalmente, con un movimento di 90°. Questo movimento dà la grandezza della bolla, più viene fatto lentamente e più la bolla sarà sottile. Nella maison Comte de Montaigne questo processo dura tre mesi. A questo punto occorre togliere i lieviti dalla bottiglia, attraverso il processo di sboccatura, quasi una “operazione a cuore aperto”. Per questo la bottiglia trascorrerà poi un mese in “convalescenza”. Un processo con una durata totale di 54 mesi. L’autenticità di Comte de Montaigne viene dalla zona nella quale ci troviamo, l’Aube; mentre il Premium dal metodo di lavorazione che abbiamo scelto.
Beatrice Anfossi
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