Fondatore di Attitude, Gennaro Tella si ispira a Olivetti e guarda al Nord Europa
Gennaro Tella è un imprenditore che richiama subito alla mente la figura di Adriano Olivetti (“Un gigante”, come Tella stesso precisa), l’industriale che molto ha dato all’innovazione tecnologica, ottenendo ottimi risultati aziendali, ma sempre con una grande attenzione alla cultura e al risvolto sociologico della sua attività, in una parola sola: all’uomo. Dopo un’esperienza come consulente in ambito finanziario, Tella fonda Attitude, società che rivoluziona l’attività di field market fino ad avere tra i clienti colossi come American Express e Telepass Pay.
Oltre i risultati pratici, che ci sono e sono molto rilevanti, quello che risalta è l’attenzione di Tella per il fattore umano. Il collaboratore deve partecipare nel senso etimologico del termine, essere parte del progetto, radicarsi nella dimensione aziendale che è costruita intorno all’essere umano. Sintomatico è l’esperimento che avviene all’interno dell’Attitude Caffè. Un coltura di piantine è affidata a turno ai manager che se ne devono occupare a partire dal seme: un processo semplice, ma che coinvolge valori importanti e antichi. Abbiamo avuto il piacere di intervistare Gennaro Tella che ci ha parlato di questa sua innovativa visione aziendale.
Gennaro Tella, lei ha lavorato per dieci anni nel settore della consulenza in aziende internazionali e nel settore finanziario, cosa le ha lasciato questa esperienza?
Questo percorso mi ha arricchito di una serie di conoscenze relative alla gestione delle risorse umane e mi ha permesso di imparare automatismi che ti consentono di avere una visione necessaria quando devi costruire dei processi che impiegano grandi numeri. Lavorare nel mondo consulenziale, lavorare nel mondo delle multinazionali, per osmosi, ti aiuta a strutturare dei processi che funzionano.
Dopo questa esperienza ha fondato Attitude, un nome che non è stato scelto a caso, mi riferisco all’attitudine a valorizzare l’intelligenza emotiva di ogni persona.
Noi guardiamo molto alle competenze trasversali, consideriamo l’attitudine di ogni persona, cerchiamo di potenziare quelle che sono le inclinazioni naturali e lavoriamo tantissimo nello strutturare le nostre risorse affinché possano manifestare il meglio nei progetti di medio-lungo termine, dando loro il tempo di esprimere tutto il potenziale. Viviamo in un mondo in cui c’è una velocità di azione e una tempistica per realizzare i progetti che spesso non dà tempo ai collaboratori di rendere al meglio. Lavoriamo sulla velocità d’azione ma c’è una curva di apprendimento e di attitudine, da qui il nome, perché non c’è un altro modo di poter ottenere il massimo dalle persone.
Con Attitude lei ha riscritto le regole del field market, ce ne può parlare?
Abbiamo sempre pensato che il consulente seguiva esattamente una strategia di medio lungo termine e quindi, se è conscio di quella che è la necessità della società che gli dà il mandato, si riesce a realizzare una vendita perfetta. Va potenziato il rispetto delle attitudini del collaboratore ma nel contempo bisogna renderlo partecipe della strategia: perciò è importante la formazione, l’affiancamento e tutta una serie di altre azioni che coinvolgono i consulenti nei progetti stessi; la nostra rivoluzione è stata quella di renderli parte delle strategie piuttosto che calarle dall’alto. Un discorso che può sembrare scontato, ma che richiede il giusto approccio per arrivare a un risultato vincente.
Lei ha parlato di clienti e tra i vari suoi clienti si possono contare dei veri e propri colossi, ma la dimensione della sua realtà rimane sempre a misura d’uomo.
Importante per la nostra azienda è il concetto di inclusività. Il reparto marketing e quello delle risorse umane lavorano molto affinché ci sia un mood positivo e un ambiente che generi il good mood, come lo chiamiamo noi, che poi crea delle performance di rilievo. Riteniamo fondamentale la costruzione di un contesto sano, stimolante. Inoltre gli spazi in cui lavoriamo sono stati progettati con un’attenzione particolare al design perché noi crediamo che desti la creatività e quindi la capacità di saper originare progetti di successo.
C’è una visione tipica dell’economia del Nord Europa, per esempio ambienti emotional friendly, sostenibili, incentrati sulla persona, orari flessibili, nessun badge…
Assolutamente sì. C’è tutto ciò che fa bene ed è gratis per tutti, tutto ecosostenibile. Nel nostro Attitude Caffè abbiamo una coltura di piantine, a rotazione chiediamo ai manager di prendersene cura portando il seme a diventare una pianta e notiamo che i manager che seguono questo processo, che fanno diventare pianta un seme, sono poi quelli che controllano i progetti con una certa attenzione.
Anche per queste cose, la sua figura ricorda molto quella di Adriano Olivetti, un imprenditore illuminato che faceva attenzione alla cultura, all’aspetto sociologico dell’impresa e aveva una grande attenzione nei confronti dell’uomo. Lei si sente vicino ad Olivetti e in generale quali sono i suoi punti di riferimento?
Io mi sento vicino a Olivetti solo se lei specifica che è un gigante. Ritengo che sia stato un visionario, un genio, d’altro canto non si può pretendere oggi di fare un’impresa se non c’è un’attenzione particolare all’uomo. Lui è stato un antesignano di tutto questo e in qualche modo dovrebbe essere rivalutata la sua figura e studiata da tutti gli imprenditori italiani.
Noi abbiamo citato prima la tradizione del Nord Europa, lei però è di origine napoletana e romano di adozione, due città, Roma e Napoli, che danno tantissimo in termini di creatività. Quanto conta il sogno e la fantasia nella sua attività?
Io credo che la creatività e il sogno nell’attività di un imprenditore contino tantissimo, non si può vivere solo di processi e di ottimizzazione, bisogna generare delle idee nuove, innovative, che stiano al passo. Bisogna ascoltare moltissimo quella che è l’evoluzione del mondo. Essere nato a Napoli è una fortuna perché la fantasia è un po’ un’attitudine innata in me, penso che sia un elemento essenziale e credo che la prospettiva di un imprenditore vada rispettata perché per chiamarsi tale deve vedere ben oltre quello che vedono i suoi dipendenti, per poter dare una direzione all’azienda. Senza la visione questa cosa non la puoi fare.
R.B.
Scopri l’intervista completa su Luxury Prêt-à-porter Magazine | Summer Edition