Due chiacchiere con una giovane stilista che ha deciso di lasciare spazio alla sua creatività
Una allure vintage ma vivace, coniugata con una grande ricerca nei tessuti. Nascono così gli abiti di Giulia Magnani Couture (@giuliamagnanicouture), una giovane stilista under30 che si divide tra l’Emilia Romagna e gli Stati Uniti. Dopo una laurea al Politecnico di Milano e diverse esperienze in atelier, Giulia ha deciso di iniziare a creare le proprie collezioni in autonomia, senza mai smettere di studiare e migliorarsi. Una serie di pezzi unici, che aiutino ogni donna a farsi sentire simile ma diversa da tutte le altre: stesso taglio ma tessuto differente, oppure il medesimo tessuto, ma utilizzato per un altro modello. Le abbiamo fatto qualche domanda sulla sua formazione e il suo presente, sulla sua idea di sostenibilità e sul futuro del mondo digitale.
Sostenibilità per me significa rispetto: verso l’ambiente, i lavoratori, i clienti
Da quale percorso vieni? Che cosa facevi prima di fondare il tuo brand? Quando hai iniziato quest’esperienza?
Ho una laurea magistrale in Design della Moda al Politecnico di Milano e ho trascorso un anno a Parigi in Erasmus. Quest’esperienza all’estero mi ha permesso di conoscere nuove tecniche di progettazione e realizzazione di una collezione, complementari a quelle apprese al Politecnico. Dopo la laurea ho lavorato in un atelier di Parma come assistente stilista e modellista. Sono poi ritornata a Parigi dove ho lavorato in un atelier di abiti da sposa, come assistente stilista. Ho sempre avuto il sogno di avere un mio brand. Circa tre anni fa ho iniziato a creare abiti, prima per me stessa e poi per gli altri, anzi le altre. Le persone hanno accolto con gioia le mie creazioni e capito l’impegno e l’amore che c’è dietro il mio lavoro. Ho deciso quindi di dedicarmi quasi interamente a questo (a parte 4 mesi all’anno in cui lavoro a Milano in showroom e per la fashion week).
A chi ti ispiri per i tuoi abiti? Chi sono i tuoi modelli nella moda?
Per i miei abiti non mi ispiro a nessuno, almeno non direttamente; non faccio una ricerca iconografica prima di creare una collezione ma mi faccio ispirare direttamente dai tessuti. Nel momento della progettazione invado letteralmente la stanza con tutti i tessuti che ho comprato precedentemente, quelli che mi hanno conquistata. Seleziono quelli adatti e che stanno bene tra di loro per creare la collezione. Poi in base al tipo, alla pesantezza, alla fantasia del tessuto decido che vita dargli. Lavorando durante la fashion week ho modo di osservare e toccare con le mie mani i capi di diversi brand italiani. Adoro l’eleganza senza tempo di Giorgio Armani (nonostante da molti non sia ritenuto innovativo, mi lascia sempre senza fiato come forme, colori e stampe) e gli abbinamenti azzardati di Prada, che per quanto non nel mio stile mi danno sempre spunti interessanti.
Sappiamo che vivi in Michigan (USA), come fai a dividerti lavorativamente tra Italia e America? Vendi i tuoi abiti in entrambi i paesi? Prediligi un canale fisico o online?
Negli Stati Uniti non posso lavorare perché non ho un visto lavorativo. I periodi che passo oltreoceano, di solito 2/3 mesi, li uso per studiare nuove tecniche, cercare nuovi tessuti, migliorare nella parte di sartoria, modellistica e comunicazione. In Italia vendo ai market, solitamente attorno a Parma/Bologna, ed ho appena aperto un negozio online su Etsy.
Com’è essere una giovane designer emergente durante un periodo storico come questo, in cui il Coronavirus ha complicato ulteriormente le cose? Quali maggiori difficoltà hai riscontrato?
Questo periodo ha combaciato con il periodo che avrei passato in Michigan, quindi comunque non avrei potuto vendere. Ne ho approfittato per fare quasi una ventina di corsi per migliorare tecnica e comunicazione. Ho inoltre iniziato a cucire la nuova collezione, creata con tessuti acquistati in Indonesia l’estate scorsa. Inoltre ho realizzato diversi tutorial gratuiti, per stare a mio modo vicino alle persone anche a distanza. Nel primo spiegavo come creare e cucire una mascherina, è stato molto apprezzato. La maggior difficoltà si è presentata quando mi hanno annullato il biglietto per il ritorno, previsto ad inizio Giugno, e per questo ho dovuto dire di no ad alcuni lavori a Milano e posticipare l’uscita della nuova collezione (che forse da primavera/estate si trasformerà in estate/autunno). Inoltre molti mercatini a cui contavo di partecipare quest’estate sono stati annullati.
Sei molto attenta alla moda sostenibile quando produci i tuoi abiti. A che punto pensi sia la moda a questo proposito? Che cosa significa per te sostenibilità?
Direi che il mondo della moda sta migliorando sempre di più in questo senso. Anche molti brand fast fashion, in particolare il gruppo Inditex, hanno promesso di diventare sostenibili al 100% nel 2030; nella speranza che non si tratti ancora una volta di green washing. Sostenibilità per me significa rispetto: verso l’ambiente, i lavoratori, i clienti. Per quanto mi riguarda, cerco di essere il più trasparente possibile; seguo il prodotto dall’inizio alla fine, da sola, quindi riesco facilmente a controllare tutti i vari passaggi. Creo il minor numero di scarti di materiali, perché mi piace usare piccoli pezzi di tessuto per dettagli creativi, e la maggior parte dei tessuti che utilizzo sono fondi di magazzino, scarti di altri atelier, tessuti vintage.
Che cosa pensi di una fashion week in versione digitale? Sarà questo il futuro? E del ruolo dei social?
Qualche sfilata è già stata fatta in digitale e si tratta per me di una grande “innovazione” (tra virgolette perché le dirette in streaming delle sfilate vengono fatte già da tempo). Il primo è stato proprio Giorgio Armani, all’inizio della pandemia. Io mi trovavo nel backstage per quella sfilata e direi che sì, possiamo aspettarci questo per il futuro.
Sui social seguo principalmente piccoli artigiani come me, non grandi brand. Direi che i social ad oggi sono necessari per farsi conoscere e mostrare ad un pubblico più vasto possibile le proprie creazioni. I social, se usati bene, sono un ottimo mezzo per informarsi, confrontarsi, crescere e migliorarsi.
Beatrice Anfossi
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