La mostrà sarà ospitata dal MUSEC di Lugano dal 17 luglio al 21 febbraio 2020
Dopo l’arte del Novecento – letta attraverso la lente della scultura primitivista – e dopo i capolavori di arte etnica dei popoli del Borneo, il MUSEC | Museo delle Culture di Lugano, nella sua nuova sede di Villa Malpensata, propone un approfondimento sull’arte orientale che costituisce, dal 2005, uno dei poli della ricerca e dello sviluppo del Museo. Kakemono, la più estesa esposizione mai dedicata alla pittura giapponese, sarà ospitata nel Museo dal 17 luglio 2020 al 21 febbraio 2021.
Kakemono è un progetto che nasce con un’idea precisa: raccontare cinque secoli di storia dell’arte giapponese, accompagnando per mano il pubblico in un viaggio emotivo di forme e soggetti
– Francesco Paolo Campione, Direttore MUSEC
La mostra, curata da Matthi Forrer, ripercorre cinque secoli di tradizione figurativa nipponica tra il XVI e il XX secolo, attraverso 90 kakemono, ordinati lungo un percorso tematico che permette di esplorare in profondità la sostanza dei linguaggi pittorici, provenienti dall’inedita collezione raccolta con cura filologica dal medico torinese Claudio Perino.
Il kakemono, genere molto diffuso in Asia orientale, consiste in un prezioso rotolo di tessuto o di carta, dipinto o calligrafato, che è appeso alle pareti durante occasioni speciali o è utilizzato come decorazione in base alle stagioni dell’anno. A differenza delle tele o delle tavole occidentali, i kakemono hanno una struttura morbida, e sono concepiti per una fruizione cronologicamente limitata: sono infatti opere che partecipano al tempo e al movimento, poiché esposti nell’alcova delle case giapponesi o lasciati oscillare per qualche ora all’esterno, magari in giardino, per la cerimonia del tè. Opere che, nella varietà dei loro soggetti, descrivono la bellezza ineffabile e lo scorrere del tempo, riflettendo una concezione estetica e filosofica tipicamente orientale.
Kakemono, un viaggio emotivo di forme e soggetti
“Kakemono”, afferma Francesco Paolo Campione, direttore del Museo delle Culture di Lugano, “è un progetto che nasce con un’idea precisa: raccontare cinque secoli di storia dell’arte giapponese, accompagnando per mano il pubblico in un viaggio emotivo di forme e soggetti; un viaggio capace di restituire la peculiarità non solo della pittura ma, più ampiamente, della rappresentazione visiva nella civiltà giapponese”.
“Quando il Giappone”, scrive invece Matthi Forrer nel saggio in catalogo, “iniziò a considerare i cinesi come ‘fratelli maggiori’ in molti campi quali le arti, l’artigianato e la tecnologia, fu automatico riconoscere l’importanza delle fonti letterarie e teoriche cinesi sulla pittura. […] Poiché la pittura cinese era principalmente a inchiostro su carta o su seta – con regole precise che mettevano in guardia sull’utilizzo dei colori, a meno che non fosse realmente necessario – la pittura giapponese adopera principalmente inchiostro nero su carta. Tale stile pittorico sarebbe stato formalizzato a partire dal XIV secolo nella tradizione – spesso piuttosto accademica – della scuola Kano”.
Tra i soggetti maggiormente utilizzati vi erano animali feroci come tigri o draghi, o piante, fiori e uccelli, tutti carichi di significati simbolici che contribuivano a stabilire e a consolidare lo status sociale dei possessori delle opere. Gli esponenti di questa scuola Kano fondarono in tutto il Giappone una diffusa rete di accademie di pittura, che dal XV secolo alla fine del XIX secolo godettero del sostegno delle classi dominanti. I samurai, il clero buddhista e i benestanti si affidarono infatti a loro per la realizzazione di kakemono, seguendo la moda del periodo.
Soltanto a partire dal XVII secolo una classe urbana emergente di artigiani e mercanti incoraggiò lo sviluppo di interpretazioni pittoriche più diversificate che si focalizzarono su soggetti più naturalistici e su scene di vita reale. Altri pittori uscirono poi dalla rigidità di questi schemi tradizionali, favorendo l’innovazione e sviluppando stili più personali.
Kakemono, un percorso espositivo tutto da scoprire
Il percorso espositivo si articola in cinque sezioni tematiche (Fiori e uccelli; Figure antropomorfe; Animali; Piante e fiori vari; Paesaggi) e propone le opere dei maggiori esponenti del periodo in questione, quali Yamamoto Baiitsu (1783-1856), Tani Buncho (1763-1840), Kishi Ganku (1749-1838), Ogata Korin (1658-1716). La mostra si apre con i dipinti di fiori e uccelli (kacho-ga) che giocano su un’associazione allegorica tratta dalle poesie haiku, e prosegue con quelli che rappresentano figure antropomorfe, dapprima limitate ad alcune divinità buddhiste, a seguaci o discepoli del Buddha, a ritratti di figure shintoiste, o ancora a personaggi mutuati dalla tradizione cinese. Fu solo nel XVIII e XIX secolo che iniziano a comparire anche le persone comuni.
Dall’analisi dell’iconografia degli animali che, a differenza di quella degli uccelli, sono rappresentati in maniera esigua, si giunge alla sezione dei dipinti che propongono piante e fiori, collegati ai mesi e alle stagioni. Tra le piante, il bambù riveste un importante significato simbolico che comunica un senso di flessibilità, di resistenza e di sicurezza. Per molti studiosi e letterati, la rappresentazione pittorica del bambù era infatti un esercizio tanto importante che alcuni artisti vi dedicavano tutta la vita.
L’esposizione si chiude con i dipinti di paesaggio che veicolano un concetto idealizzato della natura. In tali opere si trovano spesso riprodotti fiumi, laghi, corsi d’acqua, pozze o ruscelli in primo piano e picchi montuosi sullo sfondo e, in scala minore, ponti, templi, padiglioni, edifici e piccole figure umane. Il percorso è arricchito da due armature originali di Samurai e da alcuni album di fotografie giapponesi di fine Ottocento, dalle copertine in lacca riccamente decorate. Accompagna la mostra un catalogo Skira disponibile sia in edizione italiana, sia in edizione inglese, curato da Matthi Forrer. Dopo Lugano, l’esposizione approderà al Museo d’Arte Orientale di Torino.
Immagini: Collezione Perino © 2020 MUSEC/Fondazione culture e musei, Lugano
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