Ricetta Agnellone al miele di bergamotto con datteri freschi e mostarda di Digione
In un’antica leggenda della tradizione gastronomica abruzzese è narrata la storia di due
vecchi pastori, arroccati con le loro greggi sulle montagne situate a cavallo delle province
di Pescara e L’aquila, destinati a lasciare una traccia importante nella cucina rurale della
regione. Grazie alla creazione dei famosi arrosticini.
I due allevatori, nell’intento di recuperare al meglio la carne delle pecore giunte ormai al
termine del loro ciclo vitale, e ridurre al minimo gli sprechi nella delicata e precaria
economia del periodo a cavallo tra i due conflitti mondiali, misero a punto una nuova
tecnica per cucinare e rendere appetitosa la carne.
L’idea di base fu quella di tagliare a pezzettini la carne di pecora stagionata e trasformarla
in spiedini dopo averli infilati in bastoncini di legno ottenuti dal “vingh”, una pianta
spontanea ampiamente diffusa all’epoca lungo le rive del fiume Pescara, per passare
successivamente alla cottura sulla brace. Considerati come l’espressione più classica della
tradizione culinaria legata alla pastorizia stanziale della prima metà del ‘900 (che affonda
le sue radici nel fenomeno della transumanza dei secoli precedenti, pratica molto diffusa
nell’Italia centrale fino all’avvento della meccanicizzazione agricola), gli arrosticini
ottennero ben presto una tale successo che ne favorì la diffusione nell’intero territorio
nazionale. Divenendo ben presto uno dei maggiori protagonisti dello street food, fino a
conquistare l’ambito riconoscimento di P.A.T. (prodotti agroalimentari tradizionali
italiani) nella classificazione della produzione enogastronomica abruzzese. E con l’arrivo
nei punti vendita della grande distribuzione hanno contribuito in maniera significativa a
sdoganare la carne di pecora da quel limbo di diffidenza nel quale era stato relegato in
passato. Oggi il consumo di carne pecora, pur non attestandosi ai livelli dei tagli bovini più
pregiati, o a quelli di maiale e delle carni bianche, fa capolino con sempre maggiore
frequenza nelle cucine domestiche e nelle ricette dei ristoranti di fascia alta. Basti pensare
al prosciutto di pecora della Sardegna, o alle trasformazioni di molti chef stellati che
l’hanno utilizzata nella creazione di tartare e hamburger, o come ripieno per ravioli e
agnolotti del plin. Per la nostra ricetta abbiamo scelto una carne giovane, quella
dell’agnellone, ottenuta dall’animale macellato generalmente dopo i sei mesi di vita
(quando si alimenta ad erba e non più a latte), cotta prima in padella e successivamente al
forno dopo una marinatura nel miele al bergamotto e mostarda di Digione, abbinata a
quenelle di carote, datteri freschi e filamenti di stimmi di zafferano.