Lo chef Giorgio Rosato propone un secondo piatto di carne di pecora
Tra i vari animali che hanno svolto un ruolo importante nella storia dell’uomo, soprattutto in seguito alle prime domesticazioni risalenti al Neolitico (10-12 mila a.C.), la pecora occupa senza dubbio un posto di primissimo piano. Soprattutto nell’area della cosiddetta Mezzaluna Fertile, la storica regione del Medio Oriente che si estendeva dalla Valle del Nilo alla Mesopotamia. Dagli allevamenti legati prevalentemente al consumo di carne, l’utilizzo della pecora venne successivamente esteso (ca 4000/5000 anni fa) alla produzione del latte e, infine, anche per quella della lana. Al di là dell’importanza legata all’alimentazione delle popolazioni primitive, l’impatto sociale della domesticazione della pecora è stato notevole per l’evoluzione e la crescita delle società umane che, nel corso dei secoli, ha portato ad una radicale riorganizzazione degli agglomerati rurali e dei principali centri abitati sorti attorno ad essi.
L’importanza della pecora per i popoli dell’antichità è testimoniata inoltre dai riti in cui i giovani animale venivano offerti in sacrificio alle divinità (il famoso agnello sacrificale), come narrano i testi biblici in merito ad Abramo e Mosè, o nella Pasqua ebraica dove il sacrificio dell’agnello festeggia la liberazione degli Ebrei dalla schiavitù egiziana. Tracce della presenza di pecore domestiche sono documentate nella Magna Grecia a partire dal VII millennio a.C., mentre nell’antica Roma l’allevamento di greggi particolarmente numerosi era considerato un vero e proprio status di ricchezza. A tal punto che le prime monete di scambio vennero battezzate come pecunia il cui etimo, pecus, è riconducibile proprio al prezioso ovino. Le cui ridotte dimensioni hanno inoltre contribuito ulteriormente ad aumentarne la diffusione. Soprattutto in caso di necessità immediate, come è ancora oggi in uso ad esempio presso la gran parte delle popolazioni nomadi delle regioni sub-sahariane. Dal punto di vista alimentare, oltre ad un’ampia e assortita tradizione che affonda le sue radici nella notte dei tempi, abbracciando in pratica tutte le grandi civiltà del passato, la carne di pecora ha subito negli ultima anni una notevole evoluzione anche in chiave gourmet.
A parte infatti alcune eccezioni, come i celebri arrosticini abruzzesi (lo street food entrato a far parte dei P.A.T., prodotti agroalimentari tradizionali italiani) divenuti ormai un classico delle grigliate e dei ristoranti specializzati in cucina regionale, la carne di pecora ha sempre fatto fatica per essere accettata sulle tavole dei ristoranti di fascia alta. Ma grazie al lavoro di alcuni chef di rango (arrivati persino in alcuni casi a proporre la testa di pecora bollita) e al coraggio di molti imprenditori della ristorazione, anche questo ingrediente è oggetto di una forte rivalutazione. Per la nostra ricetta abbiamo realizzato un secondo piatto a base di sella di pecora, un taglio pregiato di ovino ottenuta dalla spalla dell’animale (molto carnoso e ideale per la cottura alla griglia o in padella) rosolato in composta di pompia, abbinata alla tipica fregola sarda e alla polvere di mirto, altro ingrediente tipico della regione.