Rivisitazione gourmet di un tipico piatto di origine emilio-romagnola
“C’era una volta la panna!”. Questa, in sintesi, potrebbe essere la definizione più rappresentativa, ed emblematica al tempo stesso, della cucina degli anni ’80. La panna infatti, come la gigantesca onda di uno tsunami di latte, accompagnava rigorosamente ogni menu (dall’antipasto al dolce) anche se, fortunatamente, nessuno aveva mai azzardato il sacrilegio di aggiungerla anche alla carbonara, come purtroppo oggi accade spesso. Ma la panna, oltre a dare una impronta inconfondibile alla gastronomia
dell’epoca, è stata anche un segno inequivocabile dell’opulenza di quegli anni. Rappresentando inoltre il vettore della trasmigrazione in cucina dell’edonismo reaganiano che allora imperversava un po’ ovunque, e della voglia di un ritorno alla normalità che passava anche attraverso la ricerca
del piacere a tavola. Soprattutto dopo l’archiviazione delle turbolenze ideologiche del decennio precedente.
E nella memoria dei buongustai con diverse primavere alle spalle, il ricordo di quei piatti iconici degli anni ’80 è ancora indelebile e piacevole. E non solo per quel malcelato sentimento di “nostalgia canaglia” che la moviola della fantasia evoca spesso quando pensiamo ad una canzone o a un film legato in qualche modo alla propria vita, in grado di riesumare nella memoria i ricordi di un’epoca spensierata e felice. Confermando ancora una volta che anche la cucina, e le tradizioni gastronomiche, riflettano alla perfezione una precisa epoca storica, analogamente alla musica, al cinema o alla letteratura. Come dimenticare infatti le mitiche pennette alla vodka, il risotto con champagne e fragole, le penne con panna e salmone, l’insalata russa, il cocktail di scampi in salsa rosa, le uova sode ripiene, le farfalle con panna e prosciutto e le varie combinazioni “mari e monti”? O l’altrettanto gustoso assortimento di dolci come la torta mimosa, il tiramisù (forse l’unico dessert ancora oggi molto apprezzato), il profiterole al cioccolato, la torta Saint Honoré, la Bavarese e la “trasgressiva” Banana Split? Senza dimenticare naturalmente il bizzarro gelato blu al gusto Puffo, il cui nome si ricollegava ai celebri personaggi dei fumetti belgi all’epoca molto in voga, realizzato con additivi scadenti, in seguito ritirati per la loro tossicità dopo l’introduzione delle rigide norme europee sull’utilizzo dei coloranti.
Ma la pietanza più iconica e gettonata dei “favolosi anni ‘80” rimane comunque i “Tortellini con panna, piselli e prosciutto”, un piatto di origine emiliano-romagnola presente in quegli anni praticamente sui menù di ogni tipologia di locale, dalle piole di periferia ai ristoranti “di lusso”. Oggi questo piatto è praticamente scomparso ovunque, persino dalle cucine casalinghe e dalle tavole calde, e molti cuochi lo considerano come qualcosa da dimenticare. E per gli chef più blasonati rappresenta quasi un incidente di percorso, definitivamente archiviato e non più in linea con gli standard e le vocazioni glamour della moderna cucina gourmet. Ma uno chef attento, e creativo, raramente si lascia condizionare dai luoghi comuni, né si allinea pedissequamente alle tendenze più in voga del momento. Soprattutto quando si tratta di piatti formidabili, sia nel gusto che nella loro semplicità di realizzazione. E tenta comunque un’operazione di rivalorizzazione con la quale, proprio grazie ad un input creativo, riesce a riportare in auge un piatto che in ogni caso ha scritto una delle pagine più importanti della cucina italiana del nostro recente passato.
Sulla base di queste considerazioni proponiamo una insolita e singolare rivisitazione dei “Tortellini con panna, piselli e prosciutto”, completamente trasformati grazie ad una inedita modalità di presentazione. La ricetta è rimasta sostanzialmente invariata nella sua composizione originale, ma tutti gli ingredienti sono stati inseriti in un fagottino di mozzarella di bufala campana che, una volta impanato e fritto, ha dato origine ad una versione moderna e molto appetibile dell’icona più rappresentativa degli anni ’80.