L’amaranto è il protaognista della nuova ricetta dello chef Rosato
Considerato fin dai tempi più antichi come l’ingrediente principe della cucina mesoamericana, in virtù delle sue numerose proprietà benefiche, l’amaranto è una pianta originaria del Messico dove era già ampiamente coltivata dalle maggiori civiltà precolombiane. Gli Aztechi, che ne facevano largo uso sia nell’alimentazione che nelle cerimonie religiose, lo definivano come il grano degli dei; nei riti propiziatori veniva mescolato alla farina di mais per ottenere delle figure antropomorfe ispirate agli idoli del loro pantheon religioso che, a fine cottura, venivano offerte nel corso dei banchetti collettivi. Un utilizzo analogo dell’amaranto era in uso anche presso i Maya, che lo consumavano soprattutto nella dieta quotidiana, e gli Incas (presso i quali era noto come piccolo gigante) che ne apprezzavano soprattutto le sue proprietà curative.
Con l’arrivo dei conquistadores, conseguente all’approdo di Cristoforo Colombo, la coltivazione e il consumo dell’amaranto subì una netta flessione (fino alla totale scomparsa) nell’intero Centroamerica a causa di svariate motivazioni. In primo luogo la battuta di arresto è riconducibile allo sterminio delle popolazioni locali (particolarmente marcato nella prima metà del XVI secolo) e, soprattutto, alla messa al bando di ogni tipo di coltura locale. Questa decisione era legata al desiderio degli Spagnoli di stravolgere radicalmente le coltivazioni autoctone, impedendo soprattutto la coltivazione dell’amaranto a favore di piantagioni tipicamente europee. E non solo per incrementare la produzione da inviare nel Vecchio Continente, ma anche per annientare (proprio per l’effetto aggregante svolto dall’amaranto nelle civiltà precolombiane) la cultura religiosa delle popolazioni locali, prodromo fondamentale per aprire la strada alla futura colonizzazione cattolica da parte della Chiesa Romana.
L’arrivo e la diffusione dell’amaranto in Europa iniziano a partire dal ‘700, quando veniva usato soprattutto come pianta ornamentale, mentre nel secolo successivo approda in Africa dove viene coltivato come ortaggio, per espandersi subito dopo anche in Asia trattato come un cereale, anche se in realtà (come la quinoa) è un falso cereale. La sua struttura infatti è assai simile a quella dei legumi, ma grazie alle ridotte dimensioni dei suoi chicchi non necessita di ammollo prima della cottura. Apprezzato fino a pochi anni fa solo dagli chef professionisti o dai palati gourmand, dopo la riscoperta (1975) dovuta all’americana Accademia Nazionale delle Scienze, l’amaranto è entrato ormai a far parte degli ingredienti di molte cucine, arrivando persino a spodestare le alternative più apprezzate da vegetariani e vegani, come ad esempio il farro e la quinoa. Dal punto di vista nutrizionale l’amaranto, completamente privo di glutine e quindi adeguato anche nella dieta dei celiaci, è ricco di elementi importanti per la salute, tra i quali spicca un elevato contenuto di proteine nobili e di vitamine (soprattutto quelle del gruppo B e, in misura minore, di vitamina E, ritenuta essenziale per le funzioni antiossidanti). Notevole anche il contenuto di minerali (fosforo, ferro e magnesio) e fibre, che offrono inoltre il vantaggio di prolungare il senso di sazietà abbassando al tempo stesso anche l’indice glicemico nel sangue.
Facilmente reperibile nei normali supermercati, dove è presente sia sotto forma di semi che negli scaffali delle farine alternative, l’amaranto consente di preparare numerose varietà di piatti (zuppe, focacce, sfoglie, pasta, etc.), oltre a fornire ottimi spunti di partenza per sperimentare interessanti trasformazioni nell’ambito della cucina gourmet. Ed è proprio in questo settore che abbiamo utilizzato l’amaranto nella nostra ricetta, realizzando delle cialde croccanti abbinate a capesasante leggermente scottate. Per conferire una colorazione d’impatto allblack, abbiamo aggiunto (invece dell’abusato nero di seppia) una piccola percentuale di carbone vegetale, mentre per le decorazioni è stato sufficiente una lieve spruzzata di semi di quinoa e alcuni fiori eduli gialli.