Una filosofia antica per una delle realtà vitivinicole più importanti della Sardegna
Siddùra nasce dal sogno di recuperare, nel 2008, un terreno abbandonato di 187 ettari nel cuore della Gallura, vicino a Luogosanto, borgo medievale nel Nord-Est della Sardegna. Un nome in grado di evocare gli influssi benefici della terra sull’uomo e il misticismo di cui è intrisa la bellezza fuori dal comune di questa zona. Una terra intatta e selvaggia, coperta da foreste secolari di alberi da sughero e lecci, con chiese campestri, rovine medievali, siti nuragici risalenti alla preistoria e le inconfondibili e maestose rocce di granito gallurese, levigate nei secoli dai venti.
È la parte più settentrionale della Sardegna, un triangolo di terra ricco di alture e delimitato su due lati dal mare, che include anche la rinomata Costa Smeralda, con le coste caratterizzate da sculture naturali in roccia granitica dalle forme bizzarre. Macchia mediterranea, vecchie carbonaie, case coloniche, tratti di terra incolta, cinghiali: questa era Siddùra, nome volutamente rimasto invariato rispetto all’antico distretto agricolo e pastorale, che deriva dalla parola gallurese “sella di cavallo”, per alludere alla conformazione delle colline che la circondano; ma significa anche “tesoro nascosto”, perché questo era il valore dato in passato a questa terra.
Siddùra cantine: vini dall’inconfondibile impronta sapida della Gallura
Poi arriva Nathan Gottesdiener, un signore tedesco, innamorato dell’isola. Quando vede Siddùra, è un colpo di fulmine e, a 40 anni, si trasferisce, lasciando l’impegno nell’industria tessile di famiglia a Monaco di Baviera. Con l’amico Massimo Ruggero si lancia nella nuova sfida, intuendo le potenzialità di quella terra, per riuscire a produrre il miglior vino possibile. Riportare in vita la cultura vitivinicola di questa zona è il loro obiettivo. Si accorgono infatti che i nuovi vigneti sono impiantati su un terreno in cui la componente di minerali, unita a un clima ventilato e soggetto a escursioni termiche, rendono la raccolta di alta qualità. Nel giro di 5 anni Siddùra rinasce: si pulisce il bosco, si creano sentieri, un lago artificiale sulla cima della proprietà, si piantano 350 ulivi e 12 ettari di vigneto, in prevalenza a Vermentino. La posizione geografica della vallata di Siddùra, sfruttando il riparo naturale dai venti di levante e di maestrale offertole dai monti che la circondano, conferisce all’area un microclima eccezionale. Infatti, dei venti dal mare arriva solo il sollievo dal caldo estivo e soprattutto il tipico salmastro che avvolge le uve e lascia nei vini l’impronta sapida della Gallura. Nel corso degli anni la cura dei particolari è stata continua, a partire dalla selezione dei vitigni che meglio si potessero adattare alla zona territoriale e ambientale, sino ad arrivare alla fase vera e propria della lavorazione delle uve in cantina dopo la vendemmia.
Leggi anche: “My Unconventional Art” esposta da Alessandro Boghese
Circondati da boschi di sughere, macchia mediterranea e olivastri, i vigneti sono impiantati su suoli prevalentemente sabbiosi derivanti dal disfacimento granitico, che assicurano complessità aromatica, eleganza, finezza e una peculiare mineralità ai vini. Le buone escursioni termiche, il clima ventilato e l’ottimo irraggiamento delle pendenze collinari fanno il resto, preservando ed esaltando le caratteristiche organolettiche dei frutti. La filosofia della produzione è basata sulla convinzione che la produzione del vino cominci nel vigneto, essendo il vino un vero riflesso del suo terroir. Questa considerazione influenza tutti gli aspetti della produzione: le differenti forme di allevamento, a cordone speronato, guyot e alberello, assieme alla cura del vigneto, permettono di perfezionare la qualità dei vitigni e bassa resa per ceppo, vendemmia selettiva a mano, microvinificazione per c e dare vita a prodotti di grande equilibrio, armonia ed eleganza. Oggi Siddùra è una delle realtà vitivinicole più importanti della Sardegna che, con oltre 200 ettari di terra, di cui 40 vitati, produce circa 250.000 bottiglie l’anno: principalmente dai vitigni autoctoni più emblematici della regione, con tre espressioni di Vermentino e tre di Cannonau, ma anche un Cagnulari, un passito Moscato di Sardegna e un blend di stile internazionale, per un totale di nove etichette. Tutto questo grazie a un team giovane, professionale e motivato, del quale fanno parte l’enologo Dino Dini e l’agronomo Luca Vitaletti, entrambi di origine toscana e con importanti esperienze professionali.
Un altro esempio dell’importanza nelle scelte di Siddùra del rispetto per la sua terra è la cantina ad anfiteatro, completamente interrata, al centro della tenuta, al fine di sfruttare la coibentazione naturale data dal suolo. Un progetto che unisce recupero e utilizzo razionalizzato al massimo di energia rinnovabile: la facciata è realizzata interamente con le pietre recuperate dagli scavi. Le facciate sono esposte verso nord in direzione dei venti più freschi: la temperatura interna resta costante tutto l’anno tra i 15 e i 17 gradi, l’ideale per i processi di produzione. Qui si svolge l’intera filiera produttiva, privilegiando le fermentazioni spontanee e utilizzando diversi tipi di contenitori: dalle vasche in cemento, alle botti. Il compito è quello di rispettare ed esaltare la qualità del prodotto che viene donato dalla natura, con massima intelligenza, esperienza e professionalità.
Nel 2011 nasce Maìa, Vermentino di Gallura DOCG, in purezza: 2.000 bottiglie che hanno segnato la nascita della collezione dei vini Siddùra. Una gamma che, in linea con uno dei pilastri della filosofia aziendale, ovvero l’esaltazione del terroir attraverso i vitigni autoctoni, include ben tre espressioni di Vermentino tipico della zona, Spèra Maìa, Bèru, tre Cannonau, Èrema, Fòla, Nudo, un Cagnulari, Bàcco e un Moscato di Sardegna, Nùali. I nomi scelti per i vini sono un omaggio alle antiche lingue degli antenati, una selezione di parole dense di significato che identificano i vini con gli accenti, a ricordare graficamente le antiche pronunce di queste parole. Anche se Bèru, Tìros e Nudo si distinguono per essere “limited edition”, tutte le etichette sono uguali graficamente, perché i vini vogliono inequivocabilmente rivendicare la loro appartenenza a questo importante progetto enologico.